Il difensore del Gremio Mario Fernandes ha rifiutato la convocazione della Selecao per il “Superclasico de las Americas”, Brasile-Argentina. Un “No, grazie” che non nasce dall’esigenza di preparare un big match di campionato come ci hanno abituato i nostri campioni – che ricorrono spesso a certificati medici compiacenti per saltare una partita scomoda della nazionale. Difficile che accada in Brasile: la maglia verdeoro vale molto, affettivamente ma anche economicamente; il prezzo del cartellino e dell’ingaggio del calciatore lievitano dopo una partita internazionale.
No, Mario Fernandes, difensore centrale adattabile come esterno destro, classe 1990, ha declinato l’invito del commissario tecnico Menezes perché in nazionale “Non si sente a suo agio”. Alla faccia della sincerità. Forse è colpa dei festini di Ronaldinho. Il ragazzo – che in passato ha letto il proprio nome accostato a trattative di mercato con l’Inter – non è nuovo a simili colpi di testa: scomparve per una settimana prima del suo trasferimento al Gremio. Durante la sua fuga fu avvistato da una telecamera di sicurezza, prima di essere ritrovato dalla polizia.
Dopo il Papa che rifiuta il soglio di Pietro immaginato da Nanni Moretti, questo di Fernandes è un no che fa riflettere. O almeno riflettere uno come me, abbindolato dalle prefiche della stampa di regime che esaltano la maglia della nazionale come l’onore supremo, manco si trattasse di stare con un moschetto sulla linea del Piave e non di giocare a pallone con Gattuso e Cassano.
Senza poi risalire a rifiuti eccellenti, come quello di Celestino V o di Gigi Riva, quello di Fernandes sembra il bisogno di restare in una dimensione umana e percepibile di se stessi, lontano dall’arrivismo e l’ansia di essere del nostro tempo. Forse il ragazzo si sente semplicemente inadeguato a un onore tanto grande.
In questa era in cui i media divorano tutto, chissà che fine farà il non sentirsi a suo agio del difensore, tra un sottopancia di un tg e una pubblicità rifiutata.